Le dimissioni «inspiegabili» - Parte 2/3: Schirra

di Khalid 

Even Space Cowboys Get the Blues

Veniamo infine alle dimissioni più clamorose, quelle dell’astronauta Wally Schirra. C’è da segnalare per prima cosa una grave omissione da parte di Mazzucco. Cosa stava facendo Schirra tre settimane dopo aver annunciato che si sarebbe dimesso dalla NASA? Si era davvero ritirato a vita privata, come lascia intendere American Moon? Ma Schirra aveva detto che le dimissioni sarebbero diventate effettive il 1 luglio 1969. Così, l’11 ottobre 1968 Schirra e due compagni si trovavano in cima a un razzo Saturno IB, a bordo di una capsula Apollo, in attesa di partire per la missione Apollo 7, la prima con a bordo astronauti dopo il disastro dell’Apollo 1. Con il suo successo, arrivato dopo un volo nello spazio di quasi undici giorni, Apollo 7 avrebbe dimostrato che il modulo di servizio e il modulo di comando dell’Apollo erano ormai perfettamente affidabili, aprendo così la strada alla prima missione orbitale intorno alla Luna, Apollo 8. Prima di abbandonare il programma lunare, Schirra aveva contribuito decisivamente al suo successo.

Cosa dire poi delle motivazioni delle sue dimissioni? Sono davvero rimaste inspiegate? In verità basta ascoltare la voce dell’astronauta stesso per trovare un’abbondanza persino eccessiva di spiegazioni. Scrive Schirra nella sua autobiografia:[1]

I quit with mixed feelings, but I wanted to get going on the rest of my life. I’d adopted a rule of thumb about new careers. It was that they ought to begin no later than age forty five. I was due to turn forty six on March 12, 1969.
There were other reasons for retiring, and I thought about them as I recorded my thoughts in a personal debriefing right after the Apollo mission. I noted that a young engineer had remarked that I was all used up, having just flown a successful mission that got us on course toward the moon. “We cannot recycle you immediately,” he said. “The space age is very hungry.” I believed then and still do that the engineer was right. “It is very hungry,” I said in 1968. “It devours people. I have been completely devoured by this business.” (p. 2)
Mi sono licenziato con sentimenti contrastanti, ma volevo andare avanti col resto della mia vita. Avevo adottato una regola empirica sulle nuove occupazioni: avrebbero dovuto iniziare non oltre i 45 anni. Io avrei dovuto compiere 46 anni il 12 marzo 1969.
C’erano altri motivi per ritirarsi. Ci pensai mentre registravo i miei pensieri in un resoconto personale subito dopo la missione Apollo. Notai che un giovane ingegnere aveva osservato che ero completamente esausto, avendo appena effettuato con successo una missione che ci aveva portato sulla rotta verso la luna. “Non possiamo riciclarti immediatamente”, disse. “L’era spaziale ha tanta fame”. Credevo allora, e lo credo ancora, che quell’ingegnere avesse ragione. “Ha tanta fame”, dissi nel 1968. “Divora le persone. E io sono stato completamente divorato da questa faccenda”. (p. 2)
I’m not one who enjoys boring holes in space, or as the lady says in the song, “Flying up high with some guy in the sky is my idea of nothing to do.” We were on day four when I realized that 10.8 days is an eternity. Fascinating as it may seem to anyone who hasn’t flown in space, twenty-four hours is still twenty-four hours. Up there a twenty-four-hour day is punctuated by sixteen ninety-minute orbits, and on each orbit you can watch earthrise and earthset. You soon quit saying “Golly-gee.”
[…] As we reached October 15, almost the midway point, I became agonizingly aware that we had over six days still to go. Boredom was getting to me.
[…] I was glad I had decided to quit while I was ahead. I said in Gemini, when we made three attempts to fly, that three’s the charm. The same may be said for for my career as an astronaut. A Mercury, a Gemini and an Apollo add up to three. And they were charming. (pp. 203–4)
Non sono uno a cui piace andare a zonzo per lo spazio, o come dice quella della canzone, “Volare in alto nel cielo con un tipo è la mia idea del non far nulla”. Eravamo al giorno 4 quando ho capito che 10,8 giorni sono un’eternità. Per quanto affascinante possa sembrare a chiunque non abbia volato nello spazio, 24 ore sono pur sempre 24 ore. Lassù una giornata di 24 ore è scandita da 16 orbite di 90 minuti, e in ogni orbita puoi osservare il sorgere e il tramontare della Terra. Presto smetti di dire “caspita!”.
[...] Quando arrivammo al 15 ottobre, quasi a metà strada, mi resi dolorosamente conto che mancavano ancora più di 6 giorni. La noia mi stava dando sui nervi.
[...] Ero contento di aver deciso di smettere quando ero ancora in tempo. In Gemini, quando facemmo 3 tentativi di lancio, dissi che 3 era il numero perfetto. Lo stesso si può dire della mia carriera di astronauta. Un Mercury, un Gemini e un Apollo fanno 3. Ed erano perfetti. (pp. 203–4)
There was one thing about being forty-five. I said to myself that this was the time to do it, to make a clean break. […] I believe the “forty-five rule.” It says, if you haven’t found a place to spend the rest of your life by age forty-five, you’re not going to find it. (p. 212)C’era una cosa riguardo all’avere 45 anni. Mi dissi che questo era il momento di farlo, di dare un taglio netto. [...] Io credo nella “regola del 45”, che dice che se non hai trovato un posto dove passare il resto della tua vita entro i 45 anni, non lo troverai mai. (p. 212)
A future in business was a motive when I announced in September 1968 I intended to retire as a Navy officer and an astronaut. (p. 213)Quando nel settembre 1968 annunciai la mia intenzione di dimettermi da ufficiale di Marina e da astronauta, un movente era un futuro negli affari. (p. 213)

Il motivo principale delle dimissioni sembra chiaro: dopo quasi dieci anni di duro lavoro, Schirra non ne poteva più. Lo conferma Donald “Deke” Slayton, il selezionatore degli equipaggi della NASA dal 1963 al 1972:[2]

Bob Gilruth and headquarters and I agreed on one thing, prior to the Apollo fire: if possible, one of the Mercury astronauts would have the first chance at being first on the moon. And at that time Gus [Grissom] was the one guy from the original seven who had the experience to press on through to the landing. John Glenn had retired years back. Scott Carpenter was spending his time on a Navy project. We had Gordo Cooper, who wasn’t even in line for an Apollo crew at the time. Wally Schirra kind of mentally decided he was tired of working that hard anyway. It was pretty obvious before he flew Apollo 7.
In fairness to Wally, it’s pretty hard to go out there and cycle from prime to backup to prime, spending eighteen hours a day, day after day, month after month. That begins to wear people down. Some people, like John Young, didn’t care: they were going to hang in there for whatever flights they could get. Guys like Wally weren’t that dedicated to begin with. He decided he’d had enough of this job. “I’ve been devoured by this business,” was the quote.
That’s why Frank Borman didn’t go on to more flights. He just elected to stop; it was his personal decision. He told me before he flew Apollo 8 that he wasn’t going to fly anymore.
Bob Gilruth, il quartier generale e io eravamo d’accordo su una cosa, prima dell’incendio Apollo: se possibile, uno degli astronauti Mercury avrebbe avuto la possibilità di essere il primo sulla luna. E a quel tempo Gus [Grissom] era l’unico dei sette originali che aveva l’esperienza per tirare dritto fino all’allunaggio. John Glenn si era dimesso anni prima. Scott Carpenter passava il tempo in un progetto della Marina. Avevamo Gordo Cooper, che all’epoca non era nemmeno in lizza come equipaggio Apollo. Wally Schirra aveva deciso in cuor suo che era stanco di lavorare così duramente. Era abbastanza ovvio anche prima che volasse sull’Apollo 7.
In difesa di Wally, è piuttosto difficile andare là fuori e passare da principale a riserva e di nuovo a principale, spendendo 18 ore al giorno, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Questo inizia a logorare le persone. Ad alcuni, come John Young, non importava: sarebbero rimasti lì per ottenere qualunque volo. I tipi come Wally non erano così zelanti neanche all’inizio. Lui decise che ne aveva abbastanza di questo lavoro. “Sono stato divorato da questa faccenda” era la frase.
Ecco perché Frank Borman non ha effettuato altri voli. Ha semplicemente scelto di fermarsi. È stata una sua decisione personale. Prima di volare sull’Apollo 8 mi disse che non avrebbe più volato.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto però se la prospettiva concreta di essere il primo uomo sulla Luna – che Slayton sembra confermare – non avrebbe dovuto motivare Schirra a stringere i denti e a rimandare le proprie dimissioni. La risposta è scontata: nessuno può valutare dall’esterno il peso che le diverse motivazioni hanno nelle decisioni di un singolo individuo. Ciò che è determinante per uno non lo è per un altro. Per non lasciare margini al dubbio, proviamo comunque a esaminare la possibilità che le ragioni date da Schirra fossero effettivamente insufficienti, e che qualche fattore inespresso avesse giocato un ruolo nella sua decisione.

Per la verità, qualche anno dopo aver messo per iscritto le proprie memorie, Schirra aveva negato in due occasioni di essere stato effettivamente in lizza per la Luna – il che risolverebbe alla radice ogni dubbio residuo. Bisogna ammettere però che per vari motivi questa circostanza sembra storicamente un po’ dubbia, a partire dal fatto che Schirra non ne fa cenno nell’autobiografia (vedi l’approfondimento). Non terremo dunque conto di queste dichiarazioni. Ma allora cos’altro potrebbe aver fermato Schirra?

La risposta più probabile (date le premesse) ci viene da Christopher Kraft, che all’epoca era a capo della divisione operazioni di volo della NASA. Scrive Kraft nella sua autobiografia:[3]

Wally Schirra, Walt Cunningham, and Donn Eisele were assigned to the newly renumbered Apollo 7 […]. But the Schirra who flew such meticulous missions in Mercury and Gemini and was so easy for all of us to work with was strangely missing. This new Schirra was grouchy, angry, and hardheaded […] he bitched and moaned about everything to the point where some of us thought that he’d crossed the line and was actually afraid of the damned thing.Wally Schirra, Walt Cunningham e Donn Eisele furono assegnati all’Apollo 7 appena rinumerato […]. Ma lo Schirra che aveva effettuato missioni così meticolose nei programmi Mercury e Gemini e con il quale era stato tanto facile lavorare, stranamente era scomparso. Questo nuovo Schirra era scontroso, arrabbiato e testardo […] si lamentava e si lagnava di tutto, al punto che alcuni di noi pensavano che avesse oltrepassato il limite e che avesse davvero paura di quella dannata cosa.

Kraft non dice esplicitamente per quale motivo Schirra potesse avere paura; anzi, più avanti nel libro dichiara che la ragione del suo comportamento è rimasta un mistero:

Wally was not the same old easygoing pro that I’d known on earlier missions. […] Whatever was eating him up to and during Apollo 7 remains a mystery. He’s long since gone back to the original fun and skilled Wally Schirra I knew from the beginning. (p. 290)Wally non era lo stesso professionista alla mano che avevo conosciuto nelle missioni precedenti. […] Qualunque cosa lo stesse divorando fino e durante Apollo 7 rimane un mistero. Da molto tempo è ritornato all’originale Wally Schirra divertente e bravo che avevo conosciuto all’inizio. (p. 290)

Ma in un’occasione precedente, quando era stato intervistato da Andrew Chaikin per la sua grande storia del progetto Apollo,[4] Kraft era stato molto meno diplomatico:

Cunningham would publicly surmise that the grind of training for almost a decade had simply worn the man out. But for Chris Kraft, there was another explanation for Schirra: The Fire – which had claimed his next-door neighbor Gus Grissom – had scared the daylights out of him.Cunningham avrebbe pubblicamente ipotizzato che la fatica dell’allenamento per quasi un decennio lo avesse semplicemente logorato. Ma per Chris Kraft c’era un’altra spiegazione per Schirra: il Fuoco – che aveva reclamato la vita del suo vicino di casa Gus Grissom – lo aveva spaventato a morte.

Il Fuoco, l’incidente di Apollo 1, che aveva indirettamente portato alle dimissioni di Robert Seamans, potrebbe dunque aver causato anche le dimissioni di Wally Schirra. Gli astronauti sono esseri umani come tutti gli altri, alla resa dei conti.


Leggi anche:
Le dimissioni «inspiegabili» - Parte 1/3: Webb e Seamans
Le dimissioni «inspiegabili» - Parte 3/3: Approfondimento su Schirra



Bibliografia

  1. Walter M. Schirra, Schirra’s Space, con Richard N. Billings, Boston (MA), Quinlan, 1988.
  2. Donald K. Slayton, Deke! U.S. Manned Space: from Mercury to the Shuttle, con Michael Cassutt, New York (NY), Forge, 1994, p. 191.
  3. Christopher C. Kraft, Flight: My Life in Mission Control, con James L. Schefter, New York (NY), Dutton, 2001, p. 283.
  4. Andrew Chaikin, A Man on the Moon. The Voyages of the Apollo Astronauts, New York (NY), Viking, 1994, p. 77.

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