Le dimissioni «inspiegabili» - Parte 1/3: Webb e Seamans

di Khalid 

Massimo Mazzucco sostiene che nel corso del 1968 si sarebbero verificate alcune dimissioni «inspiegabili» di protagonisti del programma spaziale americano. Mazzucco sembra implicare che questi personaggi si siano dimessi perché consapevoli dell’impossibilità di raggiungere la Luna e contrari a prendere parte alla falsificazione delle missioni Apollo.

Mazzucco parla per primo di James E. Webb, direttore della NASA dal 1961, che era riuscito con un lavoro instancabile ad assicurare il sostegno del Congresso al programma Apollo fin dal suo inizio, ma che il 7 ottobre 1968 «abbandonava inspiegabilmente il progetto della sua vita ad un passo dalla sua realizzazione».

È poi la volta di Robert C. Seamans, vice di Webb alla NASA, che precedendo il suo superiore «aveva inspiegabilmente dato le dimissioni nel gennaio dello stesso anno». Mazzucco considera con scetticismo la risposta data da Seamans ai giornalisti del Washington Post che gli avevano chiesto per quale motivo abbandonava a quel punto invece di rimanere fino all’arrivo sulla Luna: «Sono qui già da sette anni; volevo rimanerci soltanto due».

Infine Mazzucco arriva alle dimissioni più clamorose, quelle di Walter M. “Wally” Schirra Jr., uno dei sette astronauti del programma Mercury – i real space cowboys, come li avrebbe definiti il titolo di un libro scritto da Schirra stesso – che aveva volato nello spazio nell’ottobre del 1962 con la capsula Sigma 7, e poi di nuovo nel dicembre del 1965 con la Gemini 6A, compiendo il primo rendezvous spaziale. Per questo, sostiene Mazzucco, «con la sua lunga esperienza era certamente destinato ad essere mandato sulla Luna con il progetto Apollo. Invece, inspiegabilmente, a pochi mesi dall’inizio dei viaggi lunari, Schirra rinunciava a coronare trionfalmente la propria carriera e si ritirava a vita privata». Infatti il 20 settembre 1968, appena quattro giorni dopo l’annuncio delle dimissioni di Webb, Schirra aveva annunciato a sua volta di voler lasciare la NASA.

Conclude Mazzucco: «Perché queste persone che avevano dedicato il meglio della loro vita professionale al programma lunare abbiano deciso di abbandonarlo proprio ad un passo dalla sua realizzazione è una domanda che per ora non ha avuto risposta».

Ma queste tre dimissioni sono davvero inspiegate e inspiegabili? Andiamo a vedere.


At the pleasure of the President

Per quanto riguarda James Webb, c’è un dettaglio fondamentale che Massimo Mazzucco dimentica di considerare. Il direttore della NASA viene nominato dal Presidente degli Stati Uniti e serves at the pleasure of the President, cioè rimane in carica finché lo vuole il Presidente. Ora, il 1968 era un anno di elezioni presidenziali; e Lyndon B. Johnson, sotto la cui presidenza Webb era rimasto ininterrottamente alla testa della NASA, aveva deciso di non ricandidarsi. A Novembre sarebbe stato dunque eletto un nuovo Presidente, che sarebbe entrato in carica il 20 gennaio 1969: Hubert Humphrey, il candidato democratico, o il repubblicano Richard Nixon. Chiunque fosse stato il vincitore, avrebbe avuto il potere di nominare un nuovo direttore della NASA.

Il 16 settembre Webb si era recato dunque alla Casa Bianca per discutere con Johnson dei problemi che sarebbero potuti sorgere con la transizione alla nuova presidenza. Scrive W. Henry Lambright nella sua fondamentale biografia di Webb:[1]

On the transition issue, the administrator made it clear to President Johnson that what mattered was the Apollo goal. NASA must be kept strong through the transition, and the agency’s leadership must not become an issue of political conflict. Webb felt that if he were around on January 20, such conflict would be inevitable if Hubert Humphrey became president (he and Webb had had tensions), even more if Richard Nixon became president. If the new president removed Webb, as was likely, he might cut deeper into NASA’s leadership to excise those he regarded as loyal to Webb, and, in Nixon’s case, those perceived as loyal to Johnson.
NASA had to be depoliticized, in fact and in appearance. Webb thought that with Paine, a nonpolitical technocrat, in charge, even Nixon might keep the NASA leadership intact, at least until after the moon landing. If all went well with Apollo 7 and Apollo 8, the lunar landing would be only months away when the new president took control. He probably would feel great pressure not to disrupt the program, if it were going well, and there was someone in charge who was noncontroversial in a political sense. Also, if something went wrong with Apollo – an accident – Webb “wanted to be able to defend NASA and his engineers aggressively. If he were administrator, anything he said would sound self-serving”. What to do now, while Webb and Johnson could still influence events? The two arrived at a difficult reality: to influence the new president and thus assure continuity at least through the achievement of the lunar goal, Paine would have to succeed Webb sooner rather than later so he could build a record of technical success. To depoliticize the transition at NASA, the change should take place before the November election.
Sulla questione della transizione, l’amministratore disse chiaramente al Presidente Johnson che quello che contava era l’obiettivo Apollo. La NASA doveva essere mantenuta forte durante la transizione e la sua dirigenza non doveva diventare una questione di conflitto politico. Webb pensava che se fosse stato ancora in carica il 20 gennaio, tale conflitto sarebbe stato inevitabile se Hubert Humphrey fosse diventato presidente (tra i due c’erano state tensioni), e ancora di più se Richard Nixon fosse diventato presidente. Se il nuovo presidente avesse rimosso Webb, come era probabile, avrebbe potuto incidere più a fondo nella dirigenza NASA per eliminare quelli che considerava fedeli a Webb e, nel caso di Nixon, quelli percepiti come fedeli a Johnson.
La NASA doveva essere depoliticizzata, sia nella forma che nella sostanza. Webb pensava che mettendo in carica un tecnocrate apolitico come Paine [all’epoca vice di Webb], persino Nixon avrebbe potuto mantenere intatta la dirigenza NASA, almeno fino allo sbarco sulla luna. Se le missioni Apollo 7 e Apollo 8 fossero andate bene, l’allunaggio sarebbe avvenuto solo pochi mesi dopo l’insediamento del nuovo presidente. Se il programma fosse andato bene e se in carica ci fosse stata una persona politicamente non controversa, probabilmente il presidente sarebbe stato spinto a non interrompere il programma. Al contrario, se nel programma Apollo qualcosa fosse andato storto – un incidente – Webb “voleva essere in grado di difendere in modo aggressivo la NASA e i suoi ingegneri. Se fosse stato amministratore, avrebbe dato l’impressione di tirare acqua al suo mulino, qualunque cosa avrebbe detto”. Che fare allora in quel momento, quando Webb e Johnson potevano ancora influenzare il corso degli eventi? I due giunsero a una difficile conclusione: per influenzare il nuovo presidente e garantire così una continuità almeno fino al raggiungimento dell’obiettivo lunare, Paine avrebbe dovuto succedere a Webb il prima possibile, per riuscire a costruirsi un curriculum di successi tecnici. Per depoliticizzare la transizione alla NASA, il cambio sarebbe dovuto avvenire prima delle elezioni di novembre.

Con sorpresa di Webb, Johnson insistette perché l’annuncio delle dimissioni fosse dato alla stampa seduta stante, benché il direttore non avesse ancora avvisato né la moglie né il vice Paine. La data in cui le dimissioni sarebbero divenute effettive era il 7 ottobre, giorno del compleanno di Webb.

Non c’è dunque assolutamente nulla di inspiegabile nelle dimissioni di James Webb, che furono semplicemente l’ultimo servigio da lui reso al progetto Apollo.


Salta prima che ti buttino di sotto

Torniamo adesso indietro di diversi mesi nella vita di James Webb. L’incidente del 27 gennaio 1967, in cui era perito l’equipaggio dell’Apollo 1, aveva lasciato un segno profondo nella psiche del direttore della NASA. Scrive nella sua autobiografia Robert Seamans, che all’epoca era il suo vice e delle cui dimissioni «inspiegabili» ci occuperemo adesso:[2]

It was necessary, of course, to carry out a complete and careful investigation, so that the engineering failures that had led to the fire could be corrected. But Jim was not interested in investigating the engineering. He wanted to know what individuals had failed him. He felt personally betrayed.
[…] there was no question in Webb’s mind that people inside NASA also had failed him. He clearly had lost confidence in the ability of the organization. He started talking about George Mueller’s shortcomings. I told Jim that George had deficiencies like everyone else, but at the same time, George had made many positive contributions. Pretty soon I started to hear that Jim was talking about my imperfections behind my back. As time went on, I found that assignments were being given that I didn’t know about. […]
Jim Webb’s reasoning was a little like a geometric theorem. He was a nontechnical person and believed that the technical staff had let him down. As de facto general manager, I was his bridge to the technical people. Therefore, the bridge had failed and needed circumvention. In one notable instance I did fail badly: I had had discussions with the press that I shouldn’t have had. […]
From then on my relationship with Jim Webb went almost straight downhill. It became obvious as the summer of 1967 evolved that our lack of rapport was not a good thing for the organization. […]
Now it was clearly time to leave. I felt the need to be with my family more, to begin a new professional life, to have a chance to relax and regain my perspective. The program that I had come in to work on, Mercury, had long since ended. I felt (and would always feel) very much a part of Apollo, but I also felt that to stick around for the sole reason of being there when we went to the Moon was the wrong way to make one’s personal decisions.
Era necessario, ovviamente, svolgere un’indagine completa e attenta, in modo da poter correggere gli errori di progettazionee che avevano portato all’incendio. Ma a Jim [Webb] non interessava indagare sulla progettazione. Voleva sapere i nomi di chi lo aveva deluso. L’aveva preso come un tradimento personale.
[...] Il personale della NASA lo aveva deluso, Webb non aveva alcun dubbio. Aveva chiaramente perso fiducia nelle capacità dell’organizzazione. Cominciò a parlare dei difetti di George Mueller. Dissi a Jim che George aveva delle carenze come tutti gli altri, ma che allo stesso tempo aveva dato molti contributi positivi. Ben presto iniziai a sentire che Jim parlava delle mie imperfezioni alle mie spalle. Col passare del tempo, scoprii che venivano assegnati incarichi di cui non ero a conoscenza. [...]
Il ragionamento di Jim Webb era un po’ come un teorema geometrico. Era una persona non tecnica e credeva che lo staff tecnico lo avesse deluso. Io, in qualità di direttore generale de facto, facevo da ponte fra lui e il personale tecnico. Pertanto, il ponte aveva ceduto e doveva essere aggirato. In un caso degno di nota avevo commesso un grave errore: avevo avuto colloqui con la stampa che non avrei dovuto avere. [...]
Da quel momento in poi il mio rapporto con Jim Webb è andato sempre peggio. Durante l’estate del 1967 divenne ovvio che l’assenza di buoni rapporti fra noi non era una cosa positiva per l’organizzazione. [...]
Quello era chiaramente il momento di andarsene. Sentivo il bisogno di stare di più con la mia famiglia, di iniziare una nuova vita professionale, di avere la possibilità di rilassarmi e ritrovare la mia prospettiva. Il programma su cui avevo cominciato a lavorare, Mercury, era terminato da tempo. Mi sentivo (e mi sarei sempre sentito) veramente parte di Apollo, ma sentivo anche che restare per il solo motivo di esserci quando saremmo andati sulla Luna era il modo sbagliato di prendere le proprie decisioni personali.

In un’intervista radiofonica rilasciata pochi anni dopo la pubblicazione della sua autobiografia, Seamans riassumeva così la vicenda:[3]

Our relationship had been exemplary for I guess six years. He’d been just a wonderful boss. We worked together on a lot of joint things. And all of a sudden I felt as though he had me sort of under the gun.
La nostra era stata una relazione esemplare per, credo, sei anni. Era stato semplicemente un capo meraviglioso. Abbiamo lavorato insieme a tante cose. E all’improvviso mi sentii come se mi avesse, diciamo, preso di mira.

George E. Mueller, all’epoca direttore associato della NASA e capo dello Office of Manned Space Flight, aveva sperimentato le stesse difficoltà di Seamans:[4]

Jim Webb had decided that Bob [Seamans] wasn’t keeping him fully informed and really wasn’t running things in a way Jim thought they ought to be run […]. Jim began to lose confidence in Bob, and of course he lost confidence in me, and he lost confidence in all of the management team.
Jim Webb aveva deciso che Bob [Seamans] non lo teneva pienamente informato e che non stava assolutamente gestendo le cose nel modo in cui Jim pensava dovessero essere gestite. [...] Jim iniziò a perdere fiducia in Bob, e ovviamente perse fiducia in me e in tutto il gruppo dirigente.

Come sintetizza efficacemente lo storico Gerard DeGroot,[5]

[Seamans] jumped before he was pushed. Others were not so quick. Shea, directly responsible for the Command Module, was “reassigned.” Further down the line, there were add casualties.[Seamans] saltò prima di essere spinto. Altri non furono così veloci. Shea, diretto responsabile del Modulo di Comando, fu “riassegnato”. Più avanti ci furono altre vittime.

Insomma, anche nelle dimissioni di Seamans non c’è assolutamente nulla di inspiegabile. Quanto alle sue dichiarazioni al Washington Post, in cui non si faceva cenno dei problemi con Webb, Mazzucco ha ragione a considerarle con scetticismo. Ma i complotti non c’entrano; ecco la spiegazione perfettamente naturale che Seamans dà nell’autobiografia:[6]

If I had taken on Jim Webb openly, if I had left NASA making reckless statements, it would have hurt NASA, and I’m quite sure I would never have been asked to return to government service. By leaving without a confrontation, I left the door open for the future.Se avessi affrontato apertamente Jim Webb, se avessi lasciato la NASA facendo dichiarazioni sconsiderate, questo avrebbe danneggiato la NASA e sono abbastanza sicuro che non mi avrebbero mai più chiesto di tornare a lavorare per il governo. Andando via senza litigare, ho lasciato la porta aperta per il futuro.


Leggi anche:
Le dimissioni «inspiegabili» - Parte 2/3: Schirra



Bibliografia

  1. W. Henry Lambright, Powering Apollo. James E. Webb of NASA, Baltimore (MD) - London, The Johns Hopkins University Press, 1995, pp. 200–201.
  2. Robert C. Seamans, Aiming at Targets. The Autobiography of Robert C. Seamans, Jr., Washington (DC), NASA History Office (NASA SP–4106), 1996, pp. 144–147.
  3. Richard Paul, Washington Goes to the Moon, Part 3. Climbing the Hill, Washington (DC), Soundprint-WAMU, 30 Luglio 1999, min. 18:43.
  4. ivi, min. 19:07.
  5. Gerard DeGroot, Dark Side of the Moon. The Magnificent Madness of the American Lunar Quest, New York (NY) - London, New York University Press, 2006, p. 218.
  6. Seamans, Aiming at Targets, p. 148.

Commenti

  1. Puntuali e precisi anche in questo articolo! Il buon Mazzucco come sempre non si è preoccupato di approfondire la questione, per lui non era importante. Il suo obiettivo era solo mettere in fila un pò di informazioni, veritiere ma parziali, al fine di generare il dubbio in chi guardava il film. Pessimo come al solito.

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  2. James Webb che per paura di essere rimpiazzato si fa rimpiazzare comunque, geniale, solo il capo della NASA poteva pensare ad una genialata del genere.
    Seamans che voleva rimanere solo 2 anni ne ha aspettati 7 per andarsene, e guarda caso gli sembra di essere "preso di mira" proprio in quel momento.
    Insomma per un motivo o per un altro tutti hanno sentito il bisogno di lasciate la NASA a pochi mesi dal coronamento del loro sogno, o del fallimento, teoricamente non potevano sapere se ce l'avrebbero fatta.
    Tutti hanno avuto problemi nello stesso momento, ma guarda te le coincidenze...

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    1. Scegliere personalmente il proprio successore per offrire maggiori chance di successo al progetto Apollo, tu lo chiami "farsi rimpiazzare"?
      E dimettersi un anno e mezzo prima dell'allunaggio, tu lo chiami "proprio in quel momento"?
      Ma no, non è malafede, la tua. Hai solo uno strano modo di esprimerti.
      Continua pure a credere ai ciarlatani, quelli che fanno finta che non ci sono spiegazioni solo per creare misteri dove non ce ne sono.

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    2. Mi sa che non hai capito il concetto di inspiegabile. Intanto non vuol dire inspiegato, è chiaro che una spiegazione viene sempre data, soprattutto nei libri e nelle biografie. E poi un conto è dire che esiste una spiegazione, un altro conto è dire che questa sia esaustiva. Se per te non fa una piega benissimo, ma non puoi semplicemente riportare le spiegazioni ufficiali e sperare che vadano bene a tutti. Quindi non so, i giornalisti non dovrebbero mai indagare su nulla? I contribuenti non dovrebbero mai protestare per nulla? O al massimo per te va bene farsi domande una volta ma poi se la spiegazione ufficiale viene ribadita con forza bisogna mollare la presa e accettarla incondizionatamente?
      Se la pensi così va bene, ne prendo atto. Io non cerco di convincere nessuno delle mie idee, a differenza tua.

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    3. "Non cerco di convincere nessuno". Dite tutti così e poi fate sempre ricorso a mezzucci retorici. Anche Mazzucco lo dice sempre, eppure American Moon è pieno zeppo di questi trucchetti. E il bello è che accusi me di cercare di convincerti. Credi davvero che io sia così stupido da riportare semplicemente le spiegazioni ufficiali e pensare che questo basti a convincere tutti? Mi spiace, hai frainteso il senso dell'articolo.
      Inspiegabile = che non si può spiegare, che non ha spiegazione. Mazzucco ribadisce questo concetto concludendo: "Perché queste persone che avevano dedicato il meglio della loro vita professionale al programma lunare abbiano deciso di abbandonarlo proprio ad un passo dalla sua realizzazione è una domanda che per ora non ha avuto risposta". Non dice "sono state date delle risposte ufficiali ma non sono esaurienti perché...". Dice proprio "è una domanda senza risposta", ovvero "non c'è spiegazione". C'è poco da discutere su questo.
      Su Seamans quantomeno ha riportato la sua risposta alla stampa "volevo restare solo 2 anni" (che è una non spiegazione), mentre su Webb e Schirra ha volutamente mantenuto un alone di mistero completo che fa comodo alla sua narrazione.
      Noi (parlo al plurale perché il lavoro di ricerca è del mio amico Khalid mentre le traduzioni sono mie) non abbiamo fatto altro che smentire American Moon e rivelare il trucco: non è vero che le dimissioni sono inspiegabili e che non ci sono risposte. Le spiegazioni ufficiali esistono eccome e noi te le mettiamo a disposizione. Ergo, è Mazzucco che sta cercando di convincerti, non noi. Noi ti abbiamo solo fornito i pezzi mancanti del puzzle. Non ti convincono? Amen.
      Però questo significa che ti sei dato una spiegazione alternativa che ti convince di più. Sarei curioso di conoscerla. Anche perché Mazzucco, essendo un paraculo livello pro, non si sbilancia mai su questo punto, ma presenta fatti parziali, costruisce una narrazione e lascia che lo spettatore salti alle conclusioni.
      Perciò, qual è secondo te la spiegazione più plausibile delle dimissioni di Webb, Seamans e Schirra?

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