Hotspots

RISPOSTE ALLE DOMANDE DI AMERICAN MOON

  • Domanda #32 - Visto che il sole dovrebbe illuminare tutto il terreno con la stessa intensità, sia quello più vicino che quello più lontano, sai spiegare a cosa siano dovute queste vistose cadute di luce che si verificano in molte fotografie delle missioni Apollo?
  • Domanda #33 - In questo caso particolare, la caduta di luce si verifica proprio al centro dell'inquadratura, escudendo così il fenomeno della vignettatura, e con la sorgente piazzata di lato, escludendo così il fenomeno Heiligenshein. Sai spiegare a cosa è dovuta la vistosa caduta di luce che si può notare sul terreno, proprio alle spalle dell'astronauta fotografo?
Nella maggior parte delle foto, la caduta di luce è causata dalle particolari caratteristiche del suolo lunare, che riflette più o meno luce a seconda della direzione nella quale lo si guarda. In alcune foto possono esserci altre cause o concause, quali la vignettatura, la pendenza del suolo e le alterazioni del suolo provocate dagli astronauti e dal motore del LEM.

Analizziamo nel dettaglio le varie argomentazioni.


La teoria del sole grande
  • Il Sole è una fonte di luce enorme e potentissima, capace di illuminare con i suoi raggi interi pianeti. Per questo motivo, quando il sole illumina una grande distesa pianeggiante, la sua luce raggiunge ogni punto visibile con la stessa intensità. Che si osservi una zona più vicina a noi oppure più lontana, la luminosità del suolo è praticamente la stessa dappertutto. Questo è dovuto al fatto che il Sole è migliaia di volte più grande della Terra, per cui non fa nessuna fatica ad illuminare con la stessa intensità una parte qualunque della sua superficie.

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Il sistema solare secondo American Moon.

Siamo abbastanza sicuri che l’immagine qui sopra sia stata usata nel film solo per mostrare che il Sole è molto più grande della Terra, ma la teoria propinata nel film, secondo la quale la Terra sarebbe illuminata uniformemente a causa delle dimensioni del Sole, implica che quest’ultimo sia molto vicino alla Terra, proprio come nell’immagine.

In realtà sappiamo, fin dai tempi di Eratostene, che il Sole dista 150 milioni di km dalla Terra, e ci appare tanto piccolo da riuscire a coprirlo con un pollice a braccio teso. Quindi le dimensioni del Sole non contano: riuscirebbe a illuminare la Terra in modo omogeneo anche se fosse grande quanto un granello di polvere. Questo perché, dal punto di vista del Sole, la Terra è un puntino nello spazio, e una grande distesa pianeggiante sulla Terra è solo un puntino nel puntino. Per illuminare quest’ultimo basta un fascio di luce ristrettissimo, i cui raggi sono pressoché paralleli e percorrono tutti praticamente la stessa distanza. Infatti, se la luce è inclinata rispetto al suolo, alcuni raggi arrivano alla meta prima di altri, ma dopo un viaggio di 150 milioni di km la differenza è irrisoria.


La teoria del riflettore da cinema
  • Vi sono diversi indizi che suggeriscono che, per illuminare il set, sia stata usata una sorgente artificiale invece del sole e che siamo quindi sulla Terra e non sulla Luna. […]
    Se prendiamo alcune foto delle missioni Apollo, notiamo che si verifica proprio lo stesso fenomeno che abbiamo constatato nelle foto fatte con luce artificiale: un vistoso hotspot o punto caldo al centro dell’immagine e un’altrettanta vistosa caduta di luce man mano che ci si allontana dal centro della zona illuminata.
Come esempi di fall-off, nel film vengono mostrate diverse foto Apollo, ma nessuna di esse è stata scattata con la luce alle spalle, ed è proprio in queste foto che la teoria del riflettore mostra le sue debolezze.

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Hotspot e fall-off generati da un riflettore da cinema. Immagine tratta dal film.

Come si vede nell’immagine, la parte più distante del terreno è molto meno illuminata dell’hotspot. Questo è dovuto a due fattori: il primo è che il riflettore concentra molta luce in un cono centrale e disperde meno luce al di fuori del cono; il secondo fattore è semplicemente la distanza: l’illuminazione di un punto su una superficie piana è inversamente proporzionale al cubo della distanza fra il punto e la sorgente. È lo stesso fall-off che sperimentiamo quando guidiamo di notte in una strada buia coi fari abbaglianti accesi, per cui siamo abituati ad associare la caduta di luce alla distanza.

A sinistra: ombra di Buzz Aldrin (foto AS11-40-5882); a destra: ombra di Neil Armstrong (AS11-40-5930).

Nelle foto Apollo scattate col sole alle spalle, invece, l’orizzonte visibile appare molto luminoso. La zona più luminosa del suolo è l’Heiligenschein, quella sorta di aura attorno all’ombra della testa, fenomeno che anche nel film viene riconosciuto come naturale. Ma oltre l’Heiligenschein, la caduta di luce verso l’orizzonte è quasi impercettibile. Questo fatto, insieme alla totale assenza di foschia, danno la sensazione che l’orizzonte si trovi a pochi metri di distanza. In realtà, basta guardare la convergenza prospettica delle ombre per avere un’idea dello sviluppo in profondità della scena. Sappiamo comunque che alcuni massi visibili in quell’area distano fra 72 e 174 metri e che le colline all’orizzonte fanno parte del bordo di un cratere a circa 200 metri di distanza[1].

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Distanze dal LEM di alcuni elementi del paesaggio.

Come è possibile ridurre così tanto il fall-off su una distanza di due campi di calcio? Semplice: poiché il fall-off dipende dalla distanza dalla sorgente, allontanando la sorgente dalla scena si riduce la differenza di illuminazione fra le aree vicine e quelle lontane. Nel caso delle foto Apollo che stiamo analizzando, la sorgente dovrebbe trovarsi a centinaia, se non a migliaia di metri dalla scena fotografata[2]. Inoltre, per produrre un’illuminazione tale da impressionare le pellicole a bassa sensibilità usate dagli astronauti, sarebbe necessaria la potenza di un’intera centrale elettrica. Ma a parte questo, il risultato sarebbe comunque diverso da quello delle foto Apollo.

Simulazione di un riflettore con fascio ampio 60° e inclinazione 14° rispetto all’orizzontale, posto 200 m dietro la fotocamera. A sinistra: vista del suolo dall’alto; al centro: immagine proiettata sulla pellicola; a destra: elaborazione in falsi colori della luminanza.


Con un riflettore posto, ad esempio, a “soli” 200 metri alle spalle della fotocamera, con un’inclinazione pari a quella del sole nelle foto di Apollo 11, la fotocamera non riesce più a “vedere” né l’hotspot, che rimane alle spalle, relativamente vicino alla sorgente, né il fall-off laterale, che rimane fuori dal campo visivo. La fotocamera vede solo il fall-off in profondità, che si presenta con un pattern a strisce orizzontali di luminosità costante (evidenziato dall’immagine in falsi colori). Nelle foto di Apollo 11, invece, il pattern è il seguente.

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Elaborazione in falsi colori della luminanza della foto AS11-40-5882.

Un pattern di luminosità a cerchi concentrici simile a questo si formerebbe solo se la superficie fosse perpendicolare al riflettore. Qui invece si forma su un terreno che si estende per 200 metri in profondità. La teoria del riflettore non riesce in alcun modo a spiegare questo fenomeno.


La vignettatura
  • Un’altra ipotesi suggerita dai debunkers per spiegare l’illuminazione irregolare del terreno è quella di attribuire la caduta di luce alla cosiddetta vignettatura, cioè al fenomeno che si verifica in certe fotografie, nelle quali gli angoli appaiono più scuri del resto dell’immagine. Ma quello della vignettatura è un difetto che si riscontra solo negli obiettivi più a basso costo, e non certo nelle lenti Zeiss montate dalla Hasselblad, che sono semplicemente le migliori del mondo.
Nessun obiettivo fotografico è immune alla vignettatura. Per quanto attenta possa essere la progettazione di una lente, sarà sempre soggetta alla cosiddetta vignettatura naturale, dovuta a diversi fattori fisici, tra i quali il fall-off con la distanza di cui abbiamo parlato nel paragrafo sul riflettore. La stessa Zeiss, nella scheda tecnica dell’obiettivo usato dagli astronauti Apollo[3], riporta che la luminosità agli angoli del fotogramma scende fino al 70% in meno rispetto al centro, quando il diaframma è impostato a f/5.6, l’apertura usata dagli astronauti per le foto in controluce.

Illuminanza in funzione della distanza dal centro del fotogramma per l’obiettivo Zeiss Biogon f/5.6 60mm con aperture f/5.6 e f/8[3].

A riprova dell’esistenza della vignettatura nelle foto Apollo c’è il fatto che, unendo le foto di una sequenza panoramica, si verificano degli sbalzi di luminosità lungo le giunture fra le foto. Questi sbalzi sono causati dalla vignettatura; infatti, eliminandola con un apposito software di devignettatura, si ottiene un panorama continuo, senza giunture[4]. La vignettatura, dunque, deve essere considerata come causa, e a volte concausa, dei fall-off che si verificano agli angoli della foto.

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Fotomosaico di una sequenza panoramica scattata da Neil Armstrong durante la missione Apollo 11. Le giunture sono visibili a causa della vignettatura[4].


L’incidenza della luce
  • In secondo luogo, diverse foto mostrano come la differenza fra hotspot e fall-off si possa vedere proprio al centro dell’inquadratura […] e siccome il fenomeno della vignettatura non si verifica mai al centro dell’immagine, possiamo affermare con certezza che siamo di fronte ad un fenomeno reale che avviene sul terreno e non ad un caso di vignettatura.
Vero, ma come abbiamo detto, il fenomeno non può essere causato da una luce artificiale. Se la vignettatura non c’entra e l’illuminazione è solare, e quindi costante, come può il suolo variare la propria luminosità?

Innanzitutto dobbiamo fare un passo indietro e chiederci se l’illuminazione solare sia veramente costante. La risposta è: dipende. Il suolo lunare, infatti, è tutt’altro che pianeggiante e inclinazioni diverse si traducono in illuminazioni diverse. Il seguente schema mostra come varia l’illuminazione di una superficie al variare della direzione della luce[5].



Naturalmente, in un terreno illuminato dal sole, a variare è l’inclinazione del terreno e non la luce, ma il concetto è lo stesso, quello che conta è l’angolo di incidenza dei raggi solari rispetto alla superficie illuminata.
Diamo adesso un’occhiata alla seguente foto, presentata nel film come esempio di hotspot e fall-off.

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Foto di Charlie Duke (Apollo 16) nei pressi del cratere North Ray, con l’indicazione dei presunti hotspot e fall-off.

L’area indicata come fall-off è il fianco della Smoky Mountain, una collina alta 400 m[6]. Il sole si trova alle spalle dell’astronauta, quindi il versante della collina che vediamo è orientato in direzione opposta al sole, e sarebbe completamente in ombra, se non fosse che il sole è abbastanza alto (46° sull’orizzonte) da riuscire a illuminarlo in modo radente. L’ampio angolo di incidenza dei raggi solari fa sì che la collina sia meno illuminata del terreno in primo piano.


Il mistero della regolite bicolore
  • Secondo Paolo Attivissimo, però, ci sarebbe una spiegazione diversa per la caduta di luce sullo sfondo. Sarebbe stato il motore del LEM a spazzare la polvere durante l’allunaggio, facendo emergere in primo piano uno strato di sabbia più chiaro del normale. […] È la NASA stessa a smentire il fatto che la sabbia sottostante, sulla Luna, sia più chiara di quella in superficie. È anzi, secondo loro, l’esatto contrario. Nel rapporto sulle missioni Surveyor, pubblicato nel 1969, la NASA scrive: “L’osservazione del particolato di superficie lunare disturbato da atterraggio e decollo della sonda Surveyor 6 mostra che il terreno lunare, anche a profondità di pochi millimetri, ha un fattore medio di luminanza significativamente più basso della superficie che non è stata rimossa”. In altre parole, il terreno smosso dal getto del LEM dovrebbe risultare casomai più scuro di quello lasciato intatto e non certo più chiaro, come dice Attivissimo.
La teoria che la regolite superficiale nascondesse una regolite più scura è stata formulata esclusivamente sulla base delle osservazioni delle cinque sonde Surveyor e non tiene conto delle scoperte successive. Per esempio, durante la missione Apollo 12 si scopre che, in alcune zone, la regolite sommersa è addirittura più chiara della superficie[7], per cui non è detto che il terreno smosso dal getto del LEM debba essere per forza più scuro.

Ma la scoperta che fa luce – è proprio il caso di dirlo – sul mistero dell’hotspot vicino al LEM arriva con la missione Apollo 15, quando, dalle foto scattate in orbita lunare, si nota che il LEM ha formato tutto intorno a sé un alone chiaro di circa 150 m di diametro[8]. A partire dal 2009, la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter ha fotografato, con una risoluzione senza precedenti, tutti e sei i LEM Apollo, le cinque sonde Surveyor e le sei sonde sovietiche Luna, scoprendo che l’alone chiaro è presente intorno a tutti i veicoli.

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Foto dei siti di allunaggio Apollo scattate dalla Narrow Angle Camera della sonda LRO[9].

Chi dubita della NASA (o meglio, le da credito a intermittenza), deve sapere che nel 2007 anche la sonda giapponese Kaguya ha fotografato il sito di allunaggio di Apollo 11, rilevando la presenza dell’alone chiaro, che era invece assente nelle foto pre allunaggio.

Sito di allunaggio di Apollo 11. A sinistra: foto dal modulo di comando di Apollo 11 prima dell’allunaggio (AS11-37-5447). A destra: foto della sonda Kaguya nel 2007[10].

Tornando alla sonda LRO, un’analisi più attenta delle foto rivela anche la presenza di un’area scura sotto i veicoli e nelle loro immediate vicinanze. Rientra in quest’area il terreno smosso di colore scuro osservato dalle sonde Surveyor. L’alone chiaro, invece, è un anello di forma irregolare che si estende oltre l’area scura, fino a 65-140 m di distanza nel caso dei LEM[9]. L’alone non ha bordi netti, ma diventa gradualmente più scuro fino a confondersi col colore naturale della zona. È proprio questo alone la causa dell’hotspot e del fall-off visibile nelle foto Apollo nei dintorni del LEM.

Neil Armstrong accanto al LEM (AS11-40-5903). Il suolo in primo piano è scuro perché smosso dal passaggio degli astronauti. La fascia orizzontale alle spalle di Armstrong è chiara perché alterata dal getto del motore. Il fall-off verso l’orizzonte è dovuto alla graduale riduzione dell’alone verso il colore naturale del suolo lunare.

Non c’è dubbio che la zona scura sotto il veicolo e l’alone chiaro intorno a esso siano causati dai getti dei motori durante l’allunaggio, ma il meccanismo fisico alla base della loro formazione non è ancora stato chiarito del tutto. Una delle teorie più accreditate è che nei pressi del motore il suolo sia più aspro e irregolare, e quindi più scuro, perché il getto ha una pressione tale da strappare zolle di regolite e spargerle nelle vicinanze, mentre lontano dal motore la regolite sia più liscia e chiara, perché spazzata da gas a bassa pressione ed alta velocità.


Lo Heiligenschein impossibile
  • Infine, come possibile spiegazione, è stato suggerito anche il fenomeno chiamato Heiligenschein, ovvero quell’alone luminoso che viene a formarsi proprio attorno all’ombra del fotografo in certe particolari condizioni del terreno. Ma l’effetto Heiligenschein si verifica solo quando il sole si trova esattamente alle spalle del fotografo in perfetto asse con l’obiettivo che inquadra l’immagine. È questo il motivo per cui l’alone luminoso, che è dovuto ad un fenomeno di retroriflessione del terreno, compare proprio intorno alla sua ombra. Come abbiamo visto, invece, molti degli hotspot nelle foto della NASA, si verificano quando la fonte luminosa è di lato rispetto al fotografo e non alle sue spalle.

Alan Bean, Apollo 12 (AS12-49-7278). Sulla sua visiera si vedono riflessi Pete Conrad, che scatta la foto, e lo Heiligenschein di Bean, impossibile secondo American Moon.

Il fenomeno dello Heiligenschein non è un riflesso che si produce all’interno dell’obiettivo, come un lens flare, ma si può notare anche a occhio nudo, quindi non ha niente a che fare con l’obiettivo né con la sua direzione. Certo, se uno vuole fotografare l’alone, deve puntare l’obiettivo verso la propria ombra, perché è lì che si verifica. A meno che non vi sia uno specchio, in quel caso si può fotografare l’alone riflesso puntando la fotocamera verso lo specchio invece che verso l’ombra. È quello che succede nella foto sopra con la visiera di Alan Bean, che riflette lo Heiligenschein in direzione di Pete Conrad, il quale riesce a fotografarlo nonostante abbia il sole di lato. Lo stesso identico fenomeno si verifica, a parti invertite, nella foto AS12-48-7071.

Ma lo Heiligenschein è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più generale chiamato retrodiffusione (in inglese backscatter), esistente a livello dell’intera Luna e sconosciuto ai più, ma noto agli astronomi almeno dall’Ottocento[11]. L’effetto più evidente avviene con le fasi lunari. Queste sono dovute alla variazione dell’angolo Sole-Luna-Terra, detto appunto angolo di fase. Con un angolo molto piccolo (circa 5°) abbiamo la luna piena, invece con un angolo di 90° vediamo mezza luna. Il fatto controintuitivo, ma verificabile da chiunque, è che la mezza luna non ha il 50% della luminosità della luna piena, bensì solo l’8%[12]. In generale la Luna si “spegne” gradualmente all’aumentare dell’angolo di fase.

Calo di luminosità della Luna all’aumentare dell’angolo di fase.


Le sonde inviate sulla Luna hanno dimostrato che questa legge fisica vale anche per un osservatore sulla superficie lunare. L’angolo di fase si definisce più in generale come l’angolo Sole-punto osservato-osservatore. Di conseguenza, a parità di illuminazione solare, l’angolo di fase, e con esso la luminosità, varia a seconda del punto osservato. Ciò appare estremamente evidente quando le foto vengono unite insieme per formare un panorama.

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Panorama a 360° fotografato dalla sonda sovietica Luna 9 nel 1966[13]. Il suolo visto col sole alle spalle (alle estremità del panorama) appare molto più luminoso di tutto il resto. Il bagliore al centro è un lens flare.

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Panorama a 360° fotografato da Neil Armstrong, Apollo 11 (foto da 5930 a 5941)[4].

Nei panorami qui sopra si può notare come, man mano che ci si rivolge verso il sole, e aumenta l’angolo di fase, diminuisce gradualmente la luminosità del suolo. Questo avviene perché la superficie lunare è piena di irregolarità (crateri, pietre, granelli microscopici di regolite) che creano ombre. All’aumentare dell’angolo di fase, vediamo sempre più parti in ombra e sempre meno parti illuminate, percependo un calo di luminosità globale. Quando l’angolo di fase è piccolo, invece, vediamo solo le parti illuminate, mentre le ombre vengono nascoste dalle irregolarità stesse: questo spiega l’incremento di luminosità dello Heiligenschein.

A sinistra: Buzz Aldrin, Apollo 11 (AS11-40-5942). A destra: Alan Bean, Apollo 12 (AS12-46-6820).

Quando il sole è basso, le ombre sono lunghe e l’effetto è accentuato, tanto che è possibile notarlo già nelle singole foto. Il fenomeno si manifesta maggiormente nelle foto scattate col sole di lato, e appare come un fall-off in direzione del sole (vedi foto sopra).
Man mano che il sole si alza, le ombre diventano più corte e la luminosità più omogenea. Per questo motivo il fenomeno non appare in alcune foto delle ultime tre missioni Apollo, quando il sole ha superato i 40° sull’orizzonte.


  1. V. Pustynski & E.M. Jones, Photogrammetric Analysis Of Apollo 11 Imagery, 2010
  2. Dato che l’illuminazione è inversamente proporzionale al cubo della distanza, se ad esempio la sorgente si trova a 2 km alle spalle del fotografo, l’orizzonte a 200 m sarà illuminato il 25% in meno rispetto all’area vicina al fotografo, a parità di altri fattori.
  3. Scheda tecnica Zeiss Biogon f/5.6 - 60 mm.
  4. D.B. Goldman & J.C. Chen, Vignette and Exposure Calibration and Compensation, 2010. 
  5. A. Ryer, Light Measurement Handbook, Ch. 6: Principles of Light Measurement, 1997-2000
  6. G.E. Ulrich, Geology of North Ray Crater, Geology of the Apollo 16 Area, Central Lunar Highlands, 1981. 
  7. H.E. Holt & J.J. Rennilson, Photometric and Polarimetric Properties of the Lunar Regolith, Apollo 12 Preliminary Science Report, 1970, p. 157.
  8. N.W. Hinners & F. El-Baz, Surface Disturbances at the Apollo 15 Landing Site, Apollo 15 Preliminary Science Report, 1972, p. 25-50 e ss.
  9. R.N. Clegg et al., Effects of rocket exhaust on lunar soil reflectance properties, 2014.
  10. E.M. Jones & K. Glover Apollo 11 Image Library
  11. G.P. Bond, On the Light of the Sun, Moon, Jupiter, and Venus, 1861, p.202.
  12. M. Luciuk, How Bright is the Moon?, 2019.
  13. D.P. Mitchell, Soviet Moon Images

Commenti

  1. Il fenomeno citatato sopra (aura intorno alla testa in quelle foto con gli astronauti) è semplicemente Riflesso + Diffusione di luce, normale e comune, quasi banale oso dire.
    Sai che fenomeno!
    È la luce del sole che si riflette sul terreno, in parte torna indietro, in parte si diffonde in altre direzioni, è quindi visibile agli occhi dello spettatore.
    Perciò il terreno, con quella disposizione angolare, rettilinea, sole (dietro a 180°)-terreno-spettatore (o fotocamera) lì è molto più luminoso, nulla di strano, succede ovunque, e certamente non solo sulla Terra con l'atmosfera e non solo sulla Luna, anche su un asteroide.

    Se ci fosse stato lì uno specchio inclinato, o l'acqua increspata di un laghetto al posto della polvere sul terreno lunare, quel riflesso sarebbe stato ancor più ovvio, avremmo riconosciuto l'abbagliante luce del sole riflessa da loro, netta, molto meno diffusa, più forte, ma questi... fenomeni li vediamo generati sul LEM con tutte le sue superfici metalliche altamente riflettenti.
    Chissà perchè non essendoci uno specchio o del ghiaccio, o dell'acqua, non si pensa che ci possa essere comunque un riflesso-diffusione come quello hot-spot, seppur molto più attenuato per intensità luminosa ed anche molto più diffuso per evidenti motivi.

    Se il terreno lunare avesse avuto un poter assorbente dei fotoni del 100%, quindi risultare nerissimo, di un nero che più nero non si può, assorbente la luce come un buco nero... beh non avremmo quella suggestiva aura che gli astronauti hanno visto e fotografato su loro stessi e sul terreno e sono più che certo che suggestionati loro stessi, si sono messi volutamente in quei punti per poter catturare quelle belle immagini.

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  2. Poi mi fa sorridere ed intristire allo stesso tempo leggere questa ingenua affermazione categorica fatta da un sempliciotto che sembra come aver letto una leggenda metropolitana, poi la fa sua e la riporta come fosse il verbo divino:

    "Ma quello della vignettatura è un difetto che si riscontra solo negli obiettivi più a basso costo, e non certo nelle lenti Zeiss montate dalla Hasselblad, che sono semplicemente le migliori del mondo."
    Nulla di questo è vero!
    Nulla, nemmeno il semplicemente.

    Non esistono obiettivi senza caduta di luce laterale/caduta di luminosità ai bordi/vignettatura, c'è sempre in qualsiasi obiettivo, anche se varia di molto tra uno e l'altro ed anche nel singolo obiettivo varia a seconda del diaframma impostato, solitamente si riduce di intensità "stringendo" il diaframma.
    E varia di intensità a seconda delle lunghezze focali, sempre molto più forte nei grandangoli, quasi sempre meno forte nei tele, a parte quelli molto compatti e leggeri, (anche marchiati Zeiss), in cui si preferisce la leggerezza alla qualità ottica.
    Può essere forte e può essere leggera e quindi passare inosservata ad un occhio poco attento, ma la vignettatura c'è sempre.
    Le prestigiose ottiche Zeiss, spesso sono ottime, nel parco di obiettivi Zeiss ci sono stati, e ce ne sono di eccellenti, ma esistono anche obiettivi meno eccellenti, se non addirittura mediocri, non all'altezza di questo brand.
    E non sono perfetti, tranne i soliti con focale fissa facili da produrre, attorno alla normale (50 mm) e medio tele (60-150 mm) che possono rasentare la perfezione se non si va proprio a verificare tutti i loro aspetti, quindi non solo vignettatura, ma aberrazione cromatica assiale e laterale, coma, astigmatismo, suscettibilità a produrre gost & flare contro luce, bokeh, trattamento antiriflesso dei vetri, livello di trasparenza, cromatismo, etc, etc.
    Ma la produzione Zeiss è variegata, non ci sono e non ci sono state fabbriche solo in Germania, ci sono obiettivi marchiati Zeiss costruiti altrove, più recentemente in Cina.
    Particolarmente in quell'epoca poi, non è che ci fosse questa grande e diffusa grande qualità o perfezione in tutti gli obiettivi fotografici, nemmeno negli obiettivi Zeiss, anzi, a parte poche eccezioni.
    E poi c'erano anche gli economici Zeiss-Jena, ma lasciamo correre, tanto, tutto questo è un divagare fuori tema, probabilmente incomprensibile per chi, come quello di cui sopra, vorrebbe trovare ciò che non c'è da trovare, o scoprire, invece di guardare, apprezzare e ringraziare!

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    1. Oltretutto aggiungo che ho chiesto a qualche fotografo esperto (ed anche giornalista di riviste fotografiche) che mi ha detto che invece proprio da un punto di vista di costruzione, le ottiche Zeiss, storicamente lasciano un filo di vignettatura per risolvere altri problemi come l'aberrazione cromatica laterale o altri problemi costruttivi ancora.

      Mentre invece altri obiettivi di progettazione asiatica, tendono a ridurre di più la vignettatura ma presentano maggiormente altri difetti.

      È una questione di fisica e di bilanciamento. Non si può avere tutto e si deve trovare un compromesso. Certo, probabilmente sono più il terreno non piatto e la retrorilfessione che comportano i fenomeni descritti nel documentario, che non la vignettatura. Ma che le lenti Zeiss "semplicemente non la facciano" in effetti è una sparata.

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    2. Lo riscrivo: tutti gli obiettivi di questa Terra producono la vignettatura.
      Dipende da vari motivi se è più forte oppure meno, fino ad essere quasi non notabile all'occhio, ma non del tutto inesistente.
      È solo una questione di intensità, non che ci sia o che non ci sia.

      Io non userei il termine "filo" di vignettatura, è lontano dal rappresentare la realtà, essendo la vignettatura sempre molto estesa dimensionalmente-geometricamente, coinvolge gran parte del campo inquadrato, se non proprio tutto (misurabile strumentalmente).
      Capisco che per "un filo" intendi dire un poco, ma qui è davvero una stonatura perché potrebbe far immaginare un sottile bordino più scuro, cosa che non è.

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