Dove sono i danni da radiazioni?

RISPOSTE ALLE DOMANDE DI AMERICAN MOON

  • Domanda #27 - Visto che, secondo la NASA, "non esiste alcun metodo pratico per eliminare i danni dovuti alle radiazioni cosmiche", e che "questo fattore di degrado deve essere accettato", dov'è il degrado, significativo ma accettabile, che dovrebbe risultare sulle pellicole delle foto lunari?

Il degrado sulle pellicole esiste ed è stato misurato dalla Photographic Technology Division della NASA, formata da cinque uffici che si occupavano di sviluppare e duplicare le pellicole nel modo più fedele possibile agli originali. Ricordiamo che, oltre a una piccola percentuale di foto diffuse a scopi propagandistici, durante il programma Apollo sono state scattate migliaia di foto ad alto valore scientifico, sulle quali venivano eseguite anche misure fotometriche. Era dunque importante determinare il degrado causato dall’ambiente spaziale.

Il modo migliore per ottenere una misura precisa del degrado da radiazioni era confrontare ogni pellicola lunare con un’equivalente pellicola di controllo, che nel frattempo era rimasta a Houston, e una terza pellicola esposta alle radiazioni in laboratorio, che serviva a determinare la relazione fra degrado e dose assorbita. In questo modo sulle pellicole di Apollo 16, ad esempio, è stato individuato un degrado equivalente a una dose assorbita di circa 0,8 rad [1].

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Apollo 11, scansione dalla pellicola originale (particolare dalla foto
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Dal 2015 sono disponibili su Flickr le scansioni delle pellicole originali da Apollo 7 in poi, eseguite dal Johnson Space Center. Esse presentano caratteristiche tipiche del degrado da radiazioni: contrasto ridotto e colore virato al verde nelle ombre. Le pellicole originali sono state conservate in una cella frigorifera a -18°C [3] per scongiurare gli effetti del degrado da calore, ma questo purtroppo non le ha messe al riparo dal fondo di radioattività naturale, che da allora continua a degradare lentamente le emulsioni.

Il degrado visibile nelle scansioni, quindi, è sicuramente maggiore di quello che era presente sulle pellicole appena ritornate dalla Luna, ma è comunque abbastanza leggero e omogeneo da poter essere eliminato aumentando il contrasto e correggendo i colori. Queste correzioni sono state eseguite anche all’epoca dalla Photographic Technology Division, in fase di stampa e di duplicazione delle pellicole [2]. Per questo nelle foto pubblicate non si nota nessun segno di degrado.

Foto scattata dall'Apollo 6 (AS06-02-822). Il cielo appare pressoché nero.

Le missioni lunari non sono certo un caso isolato. Per esempio l’Apollo 6 è stato lanciato senza equipaggio in un’orbita ellittica attraverso le fasce di Van Allen e ha assorbito una dose di 1,31 rad [4], la più alta di tutti gli Apollo. Ciononostante, le foto scattate dalla fotocamera automatica di bordo non appaiono affatto velate. I fototecnici NASA sono riusciti addirittura a correggere alcune foto sottoesposte (cioè scure) rendendo visibili i dettagli nelle ombre[5]: questo dimostra che l’entità del degrado doveva essere molto bassa. Un altro esempio sono le foto apparentemente perfette fatte dalla Gemini 10 che, dopo aver attraversato l’Anomalia del Sud Atlantico ad altitudini molto elevate per ben tre volte, ha assorbito una dose di 0,75 rad [6], più alta della maggior parte degli Apollo.

Foto scattata dalla Gemini 10 (S66-46249). Il cielo appare nero, i colori sono corretti.

  • Domanda #28 - Visto che questo è il risultato dell'impatto dei raggi cosmici sulla pellicola all'interno della magnetosfera, dove le radiazioni sono attenuate rispetto allo spazio aperto, sai spiegare perchè nelle foto lunari non si nota alcun danno dovuto alle radiazioni?

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Il presunto effetto di un raggio cosmico su una pellicola fotografica. Immagine tratta dal film

Quella mostrata non è una pellicola fotografica ma un’emulsione nucleare, creata appositamente per rivelare le tracce del passaggio di particelle cariche. Si tratta sempre di un’emulsione di cristalli di sale d’argento sospesi in un gel, ma rispetto a una pellicola fotografica ha tre differenze fondamentali: contiene 8 volte più sale d’argento, è tra 10 e 100 volte più spessa e ha cristalli più piccoli e uniformi[7]. Dopo lo sviluppo, le tracce delle particelle sono visibili solo al microscopio.

Nelle pellicole fotografiche, l’emulsione è troppo sottile e i cristalli sono troppo grandi, quindi anche al microscopio diventa impossibile vedere le traiettorie delle particelle. A livello macroscopico, invece, l’effetto dei raggi cosmici è simile a quello di tutte le radiazioni ionizzanti: una velatura generale con una riduzione del contrasto, un incremento della granulosità nelle ombre con la possibile perdita dei dettagli, e l’alterazione dei colori (per le pellicole a colori)[8][9]. L’entità del degrado dipende comunque da diversi fattori, come il tipo di emulsione e il tipo, la qualità e la quantità delle radiazioni[10].

  • Domanda #29 - Visto che questo è il risultato di uno semplice passaggio allo scanner con raggi x, sai spiegare perchè sulle foto delle missioni Apollo, che sono rimaste esposte alle radiazioni cosmiche fino ad 8 ore consecutive, non c'è alcun segno visibile di granulazione?

Esempio di danno da scanner a raggi X mostrato nel film[11].


Come spiegato nello stesso documento della Kodak[11] citato nel film, spesso il danno provocato da uno scanner a raggi X non è correggibile, perché appare sotto forma di fasce o onde che interessano solo una parte dell’immagine. Invece l’effetto delle radiazioni spaziali è omogeneo. Con un’opportuna correzione dei toni, la velatura viene rimossa e la granulosità viene scurita o addirittura appiattita in un nero profondo[12]. Questo spiega i cieli perfettamente neri delle foto Apollo. La correzione è facilitata anche dal fatto che le pellicole invertibili, come quelle usate dagli astronauti, hanno una maggiore tolleranza ai danni da radiazioni rispetto alle pellicole negative di pari sensibilità[13].

Una granulosità uniforme nelle aree scure è effettivamente presente nelle scansioni in alta definizione delle pellicole originali Apollo. Questa granulosità appare piuttosto leggera se confrontata con quella della foto sopra, ma questo non significa che le pellicole non siano mai state sulla Luna. Innanzitutto le pellicole invertibili, di base, appaiono molto meno granulose dei negativi, perché a differenza di questi ultimi, durante lo sviluppo l’argento viene eliminato dai cristalli esposti[14]. Inoltre le foto presentate dalla Kodak hanno subito un processo di stampa che può aver accentuato la granulosità.

Ma la differenza sostanziale risiede nel fatto che pochi secondi in uno scanner a raggi X sono molto più dannosi di 8 ore all’aperto sulla Luna. Gli scanner dei bagagli da stiva, a cui fa riferimento il bollettino Kodak, eseguono una vera e propria TAC con raggi X ad alta energia. La dose di radiazioni si aggira intorno ai 2 milligray per singolo passaggio[15]. Sulla superficie lunare, dietro una schermatura equivalente a 2 mm di alluminio e durante un minimo solare, la dose assorbita in 8 ore è di circa 0,06 milligray[16], cioè 30 volte meno. Le Hasselblad lunari assorbirono una dose ancora minore, perché le missioni Apollo si svolsero durante un periodo di massimo solare, in cui i raggi cosmici sono inferiori.

Ma c’è dell’altro: la sensibilità di una pellicola fotografica può variare, e di molto, a seconda del tipo di radiazione che la colpisce. Sulla Luna, vento solare e raggi X a bassa energia si fermano sulla superficie della macchina; soltanto i raggi cosmici, composti per lo più da protoni ad alta energia, riescono ad attraversare la copertura dell’Hasselblad e a colpire la pellicola. Ebbene, a parità di dose, i raggi X ad alta energia (tipicamente di 59,3 keV[17]) emessi da uno scanner possono essere fino a 50 volte più dannosi dei raggi cosmici[18].

  • Domanda #30 - Visto che la superficie lunare viere colpita da una media da una a 4 particelle al secondo per centimetro quadrato, e che le macchine fotografiche sono state sulla superficie lunare fino ad otto ore consecutive senza alcuna protezione, sai spiegare perchè non ci siano segni di degrado sulla pellicola dovuti alle radiazioni?

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Presunto “danno ben visibile” su una pellicola dopo qualche secondo di esposizione ai raggi cosmici. Immagine tratta dal film.

La risposta è la stessa della domanda 27: il degrado sulla pellicola c’è ed è stato misurato.
Questa domanda si basa su una premessa fallace: secondo tale David Groves, fisico, sulle pellicole si dovrebbe vedere “la presenza di piccoli puntini bianchi, dove le particelle nucleari ad alta velocità hanno colpito la pellicola”. Nel film questa teoria viene rappresentata graficamente (vedi immagine), lasciando intendere che i puntini bianchi siano visibili a occhio nudo. In realtà i cristalli di sale d’argento nell’emulsione, che sono le particelle più piccole che formano l’immagine, hanno diametri dell’ordine del millesimo di millimetro[19]. Anche se una particella cosmica lasciasse la traccia del suo percorso su più cristalli, sarebbero comunque molto difficili da distinguere persino nelle scansioni in alta definizione.

Ma allora, guardando la pellicola al microscopio, avrebbe comunque ragione Groves? Non esattamente. In fotografia esiste una cosa chiamata legge di reciprocità: se espongo la pellicola a una certa luce per un certo tempo, ottengo un risultato; se la espongo al doppio della luce ma a metà del tempo, ottengo lo stesso risultato di prima. Ma se la espongo a una luce fortissima per un tempo brevissimo, incredibilmente, non otterrò nessuna immagine o quasi. Questo fenomeno è detto difetto di reciprocità ad alta intensità (HIRF). L’effetto di una particella cosmica è proprio questo: trasferisce alla pellicola un’alta energia ionizzante in pochissimo tempo. I cristalli colpiti non hanno il tempo materiale per diventare “sviluppabili” e ritornano allo stato originario subito dopo. L’immagine dell’impatto può restare impressa solo nel raro caso in cui due particelle cosmiche colpiscano lo stesso cristallo in rapida successione[20]. In parole povere, la stragrande maggioranza delle 4 particelle al secondo per cm2 non lascia alcuna traccia sulla pellicola.


  1. P.F. Bourque, Apollo 16 Photographic Standards Documentation, 1972, pp. 20-22.
  2. ibid. p. 30.
  3. Apollo Image Archive - About the Scans
  4. T.T. White & A.C. Hardy, Apollo 4 and 6 Radiation Analysis, 1970.
  5. Apollo AS-502 Mission Data and Information List, 70mm Color Photography, 1968, p.11.
  6. Gemini X Mission Report, 1966, p. 7-49.
  7. M. Fatih Bay, Emulsion Detectors, p. 13.
  8. W.C. Askew et al., Development of Skylab Environmental Protection for Photographic Film, 1971, p. 4.
  9. M.H. Holly, The Effects of Space Radiation on Flight Film, 1995, p.1.
  10. C.W. Hill & C.F. Neville, Space Radiation Hazards to Project Skylab Photographic Film - Phase II, 1971, p.19.
  11. Baggage X-ray Scanning Effects on Film, 2010
  12. Il nome tecnico di questa operazione, per le immagini digitali, è “black clipping”. Gli utenti di software di fotoritocco probabilmente conosceranno questa operazione come “regolazione del punto di nero”.
  13. M.H. Holly, The Effects of Space Radiation on Flight Film, 1995, Table V.
  14. T. Vitale, Film Grain, Resolution and Fundamental Film Particles, 2010.
  15. C. Achutan & C. Mueller, Evaluation of Radiation Exposure to TSA Baggage Screeners, 2008, p. 25.
  16. G. Reitz et al., Radiation exposure in the moon environment, 2012.
  17. M.C. Green & L.D. Partain, High-throughput baggage scanning employing x-ray diffraction for accurate explosives detection, 2003, p.66.
  18. C.W. Hill & C.F. Neville, Space Radiation Hazards to Project Skylab Photographic Film - Phase II, 1971, cfr. Fig. 4.3 p. 25 e Fig. 4.4 p. 27.
  19. T. Vitale, Film Grain, Resolution and Fundamental Film Particles, 2010.
  20. A.J. Derr, Photography Equipment and Techniques - A Survey of NASA Developments, 1972, p. 133.

Commenti

  1. Risale ai primi anni sessanta, l'adozione da parte della NASA (l'agenzia spaziale americana) delle fotocamere Hasselblad per le missioni spaziali e tutt'ora ogni missione include le medio formato svedesi, fra l'equipaggiamento di bordo.
    Negli anni precedenti alle missioni Apollo, un intero reparto della Hasselblad fu dedicato alla Moon camera HDC, secondo le severe specifiche della NASA, alla 500 EL furono eliminati il pozzetto di mira, lo specchio di visione fu rimpiazzato con una piastra opaca, fu eliminato l'otturatore secondario e "tropicalizzata" la struttura esterna, a prova di polvere e radiazioni solari. Nel 1968 fu completata la progettazione della Moon camera, i lubrificanti tradizionali furono banditi per il rischio di condensazione, al loro posto il teflon per le parti in attrito.
    L'obiettivo fu appositamente progettato dalla Zeiss, era un grandangolare 60 mm con massima apertura del diaframma f 5.6, la distorsione radiale e tangenziale erano ridotte al minimo. Anche la Kodak fu chiamata in causa, con una nuova emulsione su pellicola 70 mm che fu caricata nei magazzini, unica parte rimovibile della fotocamera, con un autonomia di circa 200 scatti per rullo.

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  2. La replica a questa particolare sezione, da parte di Mazzucco, al Vostro lavoro, è quanto di più disarmante ci sia.

    La prima risposta, voi MOSTRATE il degrado da radiazioni. Quello che mostrate NON VIENE VISUALIZZATO nelle repliche di M.M. e viene completamente ignorato. Però vi si dice che "il degrado esiste perché l'ha visto mio cugino".

    ...

    Che delusione, speravo in una risposta di M.M. completamente diversa, perché voi non dite solo che è stato misurato, ma lo mostrate direttamente.

    Con la scusa poi di "far finta di non aver visto il film" viene saltata tutta questa parte.

    Ero curiosissimo di leggere la replica alla risposta #28...

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    1. La cosa divertente è che, quando la NASA parla di degrado da radiazioni in altri contesti, è una fonte più che attendibile, ma quando la stessa NASA afferma che sulle pellicole Apollo è stato misurato un degrado da radiazioni, allora diventa "mio cugino".

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